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sabato 30 luglio 2016

"Strangers things" senza nostalgia

È la serie del momento, ne parlano tutti, e anche bene direi (con punte di entusiasmo): "Strangers things" sembra fatta apposta per chi è cresciuto negli anni '80, ma non solo (i registi hanno poco più di 30 anni!).
Io negli anni '80 ero già più grande dei protagonisti di questa serie tv, motivo forse del perché non ne sono rimasta così affascinata (pur avendola guardata con molto piacere); non a caso i film che sono citati e frullati in questa serie io li ho visti di sfuggita, li conosco ma non fanno parte della mia formazione (io negli anni ottanta avevo più paura della guerra nucleare e degli attentati che voglia di giocare con i videogiochi o altro).
Nonostante ciò mi stupisco sempre un po' di come la persistenza degli anni '80 sia così forte e generi tanta passione e nostalgia; mi sembra un segnale di qualcosa che è un pochino fuori posto nella nostra vita, oggi. Molti commentatori e recensori ammettono di partire da una fascinazione personale, emotiva, riconoscono un po' di furbizia degli sceneggiatori nell'aver inserito una carrellata infinita di oggetti e temi della mitologia di quegli anni - ma poi (a mio parere) non è che riescano davvero a individuare gli elementi che fanno di questa serie qualcosa di più che una serie citazionista e nostalgica (tranne l'onestà degli autori - che va bene, la riconosco anche io, ma basta questo?).


Consiglio di leggere ad esempio l'articolo di Andrea Fontana su Fumettologica ("...Se è vero che tutto questo impianto citazionista ha chiaramente un ruolo un po’ ruffiano e furbetto, finalizzato anche a compiacere i nostalgici che (come me) non aspettano altro per sciogliersi in brodo di giuggiole, sono altrettanto vere due cose che nobilitano ulteriormente Stranger Things, distaccandolo dalla semplice e vuota ‘operazione nostalgia’. La prima riguarda, come si diceva, lo spirito con cui l’immaginario eighties è proposto allo spettatore. Tutto, dalla fotografia alle scelte dei movimenti di macchina, passando per la caratterizzazione dei personaggi o dei gruppi di personaggi, concorre a omaggiare ma anche a riproporre con assoluta onestà di intenti proprio quell’atmosfera come mai nessun titolo era riuscito. Il secondo fattore, che ci porta a giudicare Stranger Things come una delle migliori serie di questa stagione televisiva, ha a che fare con l’impianto narrativo. Perché puoi citare e omaggiare quanto vuoi ma senza una storia non vai da nessuna parte."); oppure Diego Castelli di Serialminds ("...Stranger Things è un falso d’autore, una copia così precisa e particolareggiata dell’originale – composto da tanti film, canzoni, libri e serie tv – che l’eventuale fastidio per la banalità del soggetto viene largamente superata dall’ammirazione per la tecnica sopraffina con cui è rappresentato....Ma quindi è solo una questione di semplicità di approccio, di facilità di accesso?
Ovviamente no, altrimenti Stranger Things non sarebbe diversa da NCIS. A contare non è solo la semplicità, bensì soprattutto il recupero di un immaginario. Stranger Things affida il ruolo di eroi a personaggi caratterizzati in primo luogo dalla capacità di sognare, di andare oltre l’evidente e il direttamente percepibile. Sono bambini che vogliono credere alla sopravvivenza del loro amico e all’esistenza dei superpoteri, sono madri disposte a parlare con un mucchio di luci di natale pur di comunicare con il figlio, sono poliziotti che, pur incastrati nel loro ruolo istituzionale, non rinunciano ad ascoltare la pulce nell’orecchio che gli promette qualcosa in più sotto la superficie
."),
Sulla presenza di una storia: vero, storia anche ben scritta, ma che a me sembra figlia dell'attenta lettura di film e libri di quegli anni: una storia in fin dei conti lineare, e già vista (se leggete gli articoli linkati potete anche avere l'elenco di personaggi, trame e situazioni per niente nuove).

Ascoltando poi i commenti di un paio di sceneggiatori mi sembra che uno dei punti che contribuiscono al fascino di "Strangers things" (e di altri recuperi anni '80) è qualcosa che riguarda la tecnologia: qui Francesco Guglieri lo fa notare ("...Il secondo, e più importante, fattore di resistenza degli Ottanta nel nostro immaginario è che sono stati l’ultimo tempo prima di Internet. L’ultimo decennio prima dell’invasione dell’informatica e della rete, dei computer e degli effetti speciali; non si tratta però di un eden precedente al digitale, e perciò irraggiungibile: incarna invece la fantasia perfetta di un tempo in cui questi elementi così presenti nelle nostre vite erano lì, sì, ma erano controllabili, gestibili, avevano ancora un volto umano. Durante l’infanzia del mondo giocavamo a Dungeons & Dragons.").
Ecco, il tema dell'infanzia perduta è presente un po' in tutte le recensioni; qui Giovanni Muriello ne parla senza timore ("Tirando le somme, direi che Stranger Things si candida a diventare un cult della serialità televisiva grazie alla sapiente mescolanza di tutti gli elementi che abbiamo elencato. Per il resto, futuro cult o no, Stranger Things sta riscontrando un grande successo perché sì, siamo nostalgici e vogliamo abusare coscienziosamente di citazioni; vogliamo seguire vicende surreali condotte da ragazzini inverosimilmente geniali, guardare coi loro occhi, far parte della loro comitiva e condividere con loro otto puntate di indagini sfiancanti. Avevamo bisogno di affacciarci su un passato ancora vicino ma che già non ci somiglia più, immergerci in un mistero che non concede risoluzioni fino all’ultimo minuto, su cui si può far luce solo con l’ausilio dei walkie talkie, dei portali interdimensionali e dei poteri soprannaturali di una bambina sconosciuta. Avevamo bisogno di tutto ciò e Stranger Things è riuscito ad accontentarci.").

Osservazioni aggiuntive: curatissima la colonna sonora che "...sembra tratta da uno dei classici film di John Carpenter (che curava egli stesso la musica dei suoi film). Le tracce che compongono la diegesi della serie sono grandi classici della New Wave degli anni Ottanta o pezzi più commerciali ma altrettanto affascinanti: Joy Division, Echo & the Bunnymen, Toto, Modern English" (Andrea Fontana), e Clash.
All'inizio non avevo riconosciuto Matthew Modine (era un po' che non lo vedevo, il brutto di avere una certa età e rendersi conto che gli attori invecchiano con noi); bravi e bravissimi tutti gli attori, manco a dirlo, ma certamente ha un certo rilievo colei che interpreta Eleven, ovvero Millie Bobby Brown, già vista nell'inquietante "Intruders" (dove fa la parte di una bambina posseduta da un uomo adulto!).
Qui potete vedere la giovane attrice ai tempi di "Intruders", qua sotto invece un video abbastanza recente tratto dal suo canale Youtube, fatto di soli video dove canta delle cover.
Secondo Serialminds dovrebbe arrivare una seconda stagione, o comunque dei sequel.






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