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giovedì 29 agosto 2013

Intervista allo sceneggiatore e scrittore Alberto Ostini

Alberto Ostini e l'attore Adalberto Maria Merli sul set de "I segreti di Bosco Larici"
Conosco Alberto Ostini da molti anni ormai, ci siamo incontrati nella redazione bonelliana di Legs Weaver nel periodo in cui entrambi lavoravamo alla testata; non molto tempo dopo abbiamo collaborato (lui insieme a Stefano Piani) al mio primo Legs, il n. 11 (era il 1996); ed è sempre con una storia di Alberto che ho esordito su Nathan Never nel 2002.
Già dalla piacevole lettura delle sue sceneggiature avevo immaginato che prima o poi Alberto avrebbe finito col scrivere un libro (del suo "Nika" ho già parlato qui); non so se ne seguiranno altri prima o poi (per adesso no a quanto pare), ma io spero di sì.

D: Ciao Alberto, prima di parlare del tuo libro volevo presentarti meglio ai lettori del mio blog.
Possiamo partire da che tipo di studi hai fatto, e poi cosa hai iniziato a fare nel mondo del lavoro.

R:  Ho fatto il liceo scientifico (capendo poco o nulla di derivate e leggi della fisica…), poi mi sono laureato in filosofia con un indirizzo in scienze delle comunicazioni e una tesi in “storia del cinema” sui film di Nanni Moretti.
Poi sono stato un anno in Irlanda a insegnare italiano. Da quando sono poi tornato ho cominciato a scrivere a tempo pieno, anche se continuo a insegnare un po’. Adesso tengo un corso di “teoria della sceneggiatura” ad un Master dell’università cattolica di Milano.

D: Quando hai esordito come sceneggiatore di fumetti, e come ci sei arrivato?
Una fotocopia della matita di una tavola di "Vita artificiale"  

R: Io e Stefano Piani, amico e collega di una vita, abbiamo cominciato assieme come vignettisti satirici intorno al 1990. Lui, ottimo disegnatore, faceva sia testi che disegni. Io, “disegnatore” improponibile, al di sotto degli standard della prima elementare, solo i testi. Con lo pseudonimo di “Tike” abbiamo collaborato a diverse testate, fra cui anche “Cuore”, per chi se lo ricorda… In quel periodo abbiamo conosciuto il vulcanico Serra, allora in cerca di nuovi, giovani (sic!) talenti. Così abbiamo fatto una prova per Nathan Never. Da lì è scaturita la nostra prima storia, Bauhaus Killer. Dopo quella ne sono venute molte altre sia assieme che separatamente…

D: Che fumetti leggevi prima di arrivare a scriverli per lavoro? E adesso?

R: Strano a dirsi ma io ho letto solo Topolino, poi Geppo, Provolino e Tiramolla. Un po’ i Peanuts. Ma non ho mai letto un fumetto “adulto” prima di cominciare a farli… Né Bonelli, né Marvel. Nemmeno Dylan Dog che tanto andava di moda. Ma non per una questione di snobismo. Semplicemente in casa mia non si leggevano. E, per quanto sembri strano, nella mia classe di liceo nemmeno. Quindi… non sapevo che esistevano. Grazie a Stefano ho scoperto Pazienza… e tutto il resto!
Oggi ho recuperato molta storia bonelliana, ma faccio molta fatica a leggere i fumetti dei supereroi. Sono più un tipo da graphic novel. I primi nomi che mi vengono in mente sono Taniguchi, David B., Terry Moore, Igort. Oltre ovviamente ad autori come Pratt, Frank Miller o Alan Moore. Poi grazie a te ho scoperto Kaoru Mori. Fantastica! Ma in ogni caso la mia formazione è più letteraria e cinematografica che non “fumettosa”…

D: Qual è la tua storia bonelliana a cui sei più affezionato?, o quella che ti sembra più riuscita?

R: Una sola è difficile! Su Nathan direi una delle prime da solo dal titolo Midnight Blues. Poi, non per piaggeria, Il volto del lupo, anche perché ha visto la nascita del personaggio di Asjia Heke, cui sono molto legato, e l’ultima uscita, Haiku. Ricordo con piacere anche un numero di Napoleone scritto con quel geniaccio di Paolo Bacilieri: L’ombra della sera. In generale amo le storie in cui la trama è al servizio dei personaggi e non viceversa!
Tavola da "Vita artificiale" ©SBE

D: Io e te abbiamo lavorato insieme su dei Legs e poi su Nathan (io ho esordito su Nathan proprio con una tua bella storia), e per vari motivi sono molto affezionata al Legs n. 51, “Gli amori difficili” (qui una tavola); hai ricordi particolari su questa storia? Un aneddoto? Oppure puoi raccontare come è nata l'idea, le difficoltà avute, ecc.

R: La difficoltà è stata quella di scrivere, forse per la prima volta in Bonelli, una storia esclusivamente sentimentale, in cui l’avventura non c’era nemmeno come pretesto. Dobbiamo ringraziare Antonio Serra che ci ha creduto. Racconto volentieri un aneddoto su questa storia: Sergio Bonelli mi ha fermato in corridoio e mi ha detto, con quel suo fare tipico tra il burbero e l’affettuoso, che lui preferiva le storie in cui c’era un giaguaro che saltava fuori all’improvviso e aggrediva l’eroe. Ma che la storia gli era piaciuta. Penso sia il miglior complimento che potessi ricevere! Oggi ho il rammarico di aver conosciuto e parlato troppo poco con Bonelli…

D: Parlaci un po' della tua passione per la fotografia; sul tuo sito si possono vedere alcuni dei tuoi scatti. Che macchina usi? Quali sono i tuoi fotografi preferiti?

R: Questo è veramente un hobby che ho ripreso dopo molti anni. Forse se l’avessi intrapreso da giovane avrei avuto una carriera e una professione diversa, chissà! Quello che adoro della fotografia è che ti permette di viaggiare e avere un contatto diretto con altre persone, spesso di culture radicalmente differenti. Cosa che la scrittura ti consente solo in parte. Ripensandoci…  avrei decisamente voluto fare il fotografo nella vita! La mia formazione fotografica è totalmente autodidatta. E quindi anche il compendio dei miei fotografi preferiti è del tutto “estemporaneo”, non “critico”. Il tipo di approccio che preferisco è quello che definirei “antropologico” o “umanista” che ritrovo appieno negli scatti di Eugene Smith. Mi piacciono molto i ritrattisti. Elliott Erwitt è certamente imprescindibile così come Annie Leibowitz. Poi, citando un po’ in ordine sparso:, Gianni Berengo Gardin che ho avuto l’onore di intervistare, Robert Frank, Koudelka, il “surrealismo sociologico” di Martin Parr, Diane Arbus, Nan Golding e Francesca Woodman. Per venire ai giorni nostri trovo bravissimi Francesco Zizola e, naturalmente, Paolo Pellegrin che è una spanna sopra gli altri. Ma sono talmente tanti! Io uso una Canon 5D… usandola, nella mia carenza tecnica, ben al di sotto delle sue possibilità!
Kebi e Asjia, protagonisti de "Il volto del lupo" - Nathan Never n. 152  - 2004

D:  Puoi descrivere la foto fatta in Iran che si vede qui nel mio blog? Altre ce ne sono sul tuo sito, che invito a guardare.
   Quando sei andato in Iran e in quali circostanze? Ho letto negli anni diversi reportage sul National Geographic e quello che mi ha colpito è il contrasto tra una religione così totalitaria (e violenta, non dimentichiamo che ogni anno vengono impiccate decine di persone tra cui non solo “criminali”, ma anche omosessuali) e un popolo dalla storia così antica e interessante, dal carattere aperto e amichevole, con una gioventù che aspira ad aprirsi al mondo.

R: La foto è scattata a Yazd, in cima a una delle due "torri del silenzio", delle costruzioni circolari un tempo luoghi sacri della religione zoroastriana di cui Yazd è stata il principale epicentro. Nelle torri del silenzio venivano depositati i morti fino ad essere completamente spolpati dagli avvoltoi. Le ossa venivano poi raccolte da un "sacerdote" esplicitamente incaricato che era anche l'unico autorizzato ad entrarvi.
Questa foto mi piace perchè trovo bello che due giovani si "corteggino" in un luogo che ha questa storia e il fatto che i loro due profili si staglino sopra il deserto è oltremodo simbolico. Parlare dell'iran in due righe è impossibile tanta è complessa la storia di questo paese che è quello di Ciro e Serse, della rivoluzione "socialista" di Mossadeq, del colpo di stato angloamericano (tanto per cambiare...), dello Scià e infine della rivoluzione khomeinista. Bisogna proprio leggere Persepolis... e poi rileggerlo dopo esserci andati!
Quello che posso dire in due righe è che un popolo di una ospitalità e generosità commovente. La contraddizione tra la rigidità delle regole imposte dal regime e la vitalità, l'allegria e direi quasi la "serenità" della popolazione non potrebbe essere più grande. Quello che più ti colpisce è la sofferenza per l'etichetta di "terroristi" o "fanatici integralisti" che i media occidentali affibbiano agli iraniani (che del regime sono le prime vittime...) e la gratitudine verso chi è disposto a visitare il loro paese (che è, tra l'altro, bellissimo!) ed è pronto dialogare con loro senza pregiudizi. Il "mal d'Africa" non so, ma il "mal d'Iran" esiste di sicuro!

D: Come sei arrivato a scrivere per la televisione? Che qualità ci vogliono per diventare sceneggiatore televisivo?

Yadz (Iran) - foto di ©Alberto Ostini
R: Anche qui è stato grazie a Stefano Piani che era passato alla tv molto prima di me e che era diventato editor della versione italiana del “Commissario Rex”  e cercava collaboratori. Ovviamente è stato un enorme piacere tornare a lavorare con lui dopo tanti anni e dopo i trascorsi satirici e bonelliani! Dal cane più intelligente del mondo siamo poi passati a una collection di tv movie dal titolo “6 passi nel giallo” per approdare alla prima serie interamente nostra fin dal concept, dal titolo “I segreti di Borgo Larici”, le cui riprese terminano proprio in questi giorni. Andrà in onda a inizio 2014 su Canale 5. E devo dire, da quello che ho visto, che la “creatura”, promette bene! Per fare lo sceneggiatore tv occorrono… molta flessibilità e pazienza. In una produzione televisiva ci sono in ballo molti soldi e quindi sono molte le persone coinvolte che hanno il diritto di dire la loro: il produttore, gli editor, i responsabili della rete su cui andrà in onda, il regista…. Non tutti hanno la stessa identica visione del progetto, anzi! Un bravo sceneggiatore deve essere in grado di mediare tra le diverse richieste, recepire le indicazioni intelligenti e costruttive e, possibilmente, essere capace di convincere i suoi interlocutori ad abbandonare quelle improduttive. Poi, naturalmente, bisogna essere veloci, molto veloci. Ricordo un articolo di Aldo Grasso in cui biasimava la scarsa qualità delle sceneggiature di “6 passi nel giallo”. Forse Aldo Grasso non sa (o finge di non sapere…) che in tv si scrive tutto di corsa. Io e Stefano abbiamo scritto più di un film in meno di quindici giorni. Modestia a parte, per il tempo a disposizione, sono dei capolavori! :)

D: Naturalmente devi raccontare qualche aneddoto su queste produzioni televisive – quelli che puoi raccontare!

R: I più gustosi non si possono raccontare…. Forse tra qualche anno… Diciamo, a proposito di flessibilità, che abbiamo scritto un film che doveva essere ambientato in Irlanda, poi, per questione di accesso ai finanziamenti locali, ci hanno detto si spostarlo in Alaska, quindi, sempre per motivi economici, a Malta. Alla fine poi non si è fatto… Da anni stiamo lavorando a un progetto di serie che ha vagato, come ambientazione, dal Friuli alla Louisiana! E adesso forse ha trovato una casa (definitiva?) in Trentino…

D: La scrittura: immagino che hai sempre avuto questa passione, e che magari per te stesso hai sempre scritto – o no?

R: Sono sempre stato un bambino solitario, con una grande fantasia e molta voglia di raccontare storie. Per questo motivo non trovo contraddittorio fare fumetti, tv, fotografare o scrivere un romanzo. Sono tutti mezzi espressivi, seppur diversi, che consentono di colmare uno stesso bisogno: raccontare una storia…


D: Quali sono gli scrittori che ti piacciono di più?

R: Questa è più difficile di quella sui fotografi!! Li butto lì davvero in ordine sparso: Dostoevskij, Calvino, Jo Nesbo, Don Winslow, Izzo, Murakami, De Lillo, McEwan

D: Arriviamo a Nika: come è nata l'idea di questo libro, e quando? Quanto ci hai messo a scriverlo?

R: Difficile dire come nasce una storia. Di Nika avevo in testa solo la prima immagine (un uomo che osserva una macchia di muffa sul soffitto) e l’idea generale di cui, però, non posso parlare perché rappresenta il colpo di scena della storia. Non riuscivo però a trovare uno stile adatto a questa storia. Poi, per caso, ho scoperto uno scrittore che si chiama David Almond e sono rimasto folgorato: allora esisteva uno stile per scrivere quello che avevo in mente! Mi sono incamminato su quella strada stilistica e… è saltato fuori Nika. Quasi da solo, direi, così come le storie più riuscite di Nathan.
Io, come altri, in realtà penso che gli scrittori non abbiano grandi meriti se non quello di saper ascoltare. Le storie esistono già tutte, lì, da qualche parte, nell’“iperuranio”! Aspettano solo qualcuno che abbia la pazienza e la voglia di tra-scriverle. Non sono dei veri “creativi”, io penso. Ma solo dei bravi “amanuensi” con un pizzico di intelligenza…e di tempo a disposizione. Per scrivere Nika io ci ho messo circa sette mesi.

D: Come sei arrivato a pubblicare per Mauri Spagnol? E cos'è esattamente IoScrittore?

R: Io scrittore è un torneo letterario cui può partecipare qualunque esordiente, con uno pseudonimo. Il proprio romanzo viene letto e valutato, in due diversi step, da altri partecipanti al torneo stesso. È quindi la comunità di scrittori/lettori che determina chi sono i trenta finalisti ritenuti degni di venire pubblicati nella collana omonima “Io scrittore” che è appunto di proprietà di Mauri Spagnol, organizzatore del torneo.  L’anno in cui ho partecipato con “Nika” gli iscritti erano 1.100… Una selezione piuttosto impegnativa, in effetti!

D: Il tuo libro non è stato pubblicato da un editore tradizionale, ma non è neanche totalmente ascrivibile alla categoria del “self-publishing”, dato che sei dovuto passare attraverso una non facile selezione; tuttavia quelli che hanno “giudicato” il tuo libro non è sicuro avessero competenze professionali specifiche per farlo (forse alcuni sì, su un numero così elevato di lettori, ma non ne sappiamo molto). Io ti conosco e so che come minimo sai scrivere in ottimo italiano, hai anche insegnato, di lavoro fai lo sceneggiatore, esperienza ne hai dunque, ma da lettrice che si imbatte in testi autopubblicati cosa ne so della competenza non dico letteraria, ma proprio lessicale degli scrittori?
Insomma, c’è la questione che si salta tutta la fase dell’editing, ma anche del giudizio da parte di esterni competenti (fare leggere i propri lavori a una decina di amici può essere utile, ma non so quanto valore possa avere - a meno che si abbiano amici che lavorano più o meno nel campo, come è capitato a te).
Un post come questo mette in rilievo come anche le case editrici tradizionali non siano una grande garanzia, e le si può criticare per la scarsa cura editoriale su certi libri (credo che l’emergenza economica abbia la sua influenza, con tagli al personale e altro), tuttavia non si può sottovalutare che è difficile trovare i buoni scrittori, che certamente esistono, in mezzo a una marea di titoli di scarsa se non scarsissima qualità.

R:  Il tema è assai spinoso! Con "Nika" per esempio ho partecipato due volte allo stesso concorso. Il primo anno non ho superato nemmeno la prima selezione causa tre voti bassissimi (tipo 1 o 2) da parte di persone che o valutavano i testi in maniera troppo "soggettiva" o - penso io - volevano sabotare possibili concorrenti.
Nè, come dici giustamente tu, la case editrici tradizionali sono garanzia di un'adeguata capacità di selezione. Il romanzo come "prodotto" (e quindi oggetto di marketing) mi pare abbia più considerazione del romanzo in quanto "opera letteraria". Dunque, provocatoriamente ti chiedo: ha davvero importanza che sia ben scritto? O è più importante che si presti a una proficua operazione commerciale, (tipo 50 sfumature di grigio)?
È triste ma è così. Io penso che di fronte alla "sordità" delle case editrici tradizionali, ben venga il self publishing. In fondo non è diverso da chi si autoproduce, grazie al digitale, un proprio cortometraggio. Non c'è nessuna garanzia di qualità, vero. Ma onestamente non credo che questa garanzia venga dal fatto di avere un editore tradizionale!
Rimane il problema della possibilità di diffusione in un paese fatto da molti scrittori e pochissimi lettori in cui "l'analfabetismo letterario" non solo non considerato un problema ma direi persino favorito o incoraggiato dalla corrente di pensiero dominante.

D: Nika sarebbe perfetto come libro per pre-adolescenti (anche se è piacevole da leggere a tutte le età), e io lo immagino anche corredato di belle illustrazioni: in caso possa essere ripubblicato in altra forma quale disegnatore ti piacerebbe vedere all'opera sul tuo libro?

R: Io ovviamente spero davvero che Nika abbia anche una vita cartacea oltre a quella digitale. E, visto che ti pare una bella idea illustrarlo… penso che dovresti farlo tu! [mi piacerebbe, ma temo potrei farlo solo nella mia seconda vita!] Certo, se poi per caso Dave McKean lo legge e si innamora della storia e si offre di farlo, troveremo un  compromesso… :)

D: L'ambientazione di Nika: come mai l'Inghilterra? Non si nomina mai il periodo, ma da vari riferimenti si capisce che si è intorno agli anni '50 – scelta azzeccata, a mio parere, sia per una certa aria di classicità che si respira nel libro, sia per quel certo non so che di “ingenuo” nei modi dei personaggi che rende più plausibile questa storia un po' fuori dal tempo.

R: Mi piace molto il fatto che usi la parola “ingenuità”. Gli attribuisco una connotazione positiva in contrapposizione a “cinismo”, ed è legata alla scelta degli anni 50. Io non ero nato, ma attribuisco a quell’epoca una certa “purezza”, nonostante la guerra appena terminata. Avevo bisogno di un “sentimento”, un’atmosfera e quegli anni mi restituiscono l’idea che si fosse ancora disponibili a lasciarsi sorprendere, che ci fosse ancora qualcosa di nuovo da scoprire, proprio come fa David con Nika. Ad esempio, la corsa allo spazio comincia proprio nella seconda metà degli anni cinquanta, quando è ambientato il romanzo. Io volevo insomma che David conoscesse molto poco del mondo e della vita e che scoprisse certe cose nel corso della storia. Impossibile ambientarlo oggi, dove sembra ci sia così poco da scoprire e gli adolescenti sanno già tutto! E poi non volevo che ci fossero i cellulari…
La scelta della Gran Bretagna dipende dal fatto che da quelle parti esiste un tipo di vegetazione, di bosco che era quello che nella mia testa corrisponde a quello che David esplora. Poi, se il romanzo fosse stato ambientato sulle Alpi, piuttosto che sugli Appennini, avrebbe automaticamente assunto una connotazione “realistica” in controtendenza con il tono “fantastico” della storia, al cui interno convivono, decine di elementi storici, reali (l’auto Morris Oxford, il fumetto di Dan Dare, il film L’amore è una cosa meravigliosa…) e altri completamente inventati, così da tenere tutto in equilibrio tra realtà e fantasia. Che era il mio intento principale…

Grazie molte ad Alberto, grande amico, persona sensibile e di rara gentilezza.

Nika lo trovate qui in epub, oppure qui in formato mobi (e dove se volete potete scaricare un'anteprima per vedere se può interessarvi la lettura).
                                                                       

2 commenti:

  1. Belle queste interviste lunghe. E che "personaggi" questi autori!

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  2. Grazie Juhan, sono fortunata, di persone così interessanti ne conosco diverse, mi piacerebbe presentarle qui di tanto in tanto.

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Attraverso i commenti io vengo a sapere solo il nome che è stato indicato dal commentatore, nient’altro. Se qualcuno vuole che io tolga i propri commenti può scrivere a p.mandanici@gmail.com e provvederò alla loro eliminazione.